giovedì 31 gennaio 2013

L’uomo che guarda nel parco


Luca riesce a studiare con buon profitto e a seguire un’attività sportiva impegnativa come quella del calcio. Vi raccontavo che la maledetta sfera oramai mi segue ovunque: perfino nei parchi pubblici della città. Mio figlio trova sempre qualcuno con cui improvvisare una partita. E così, allenamenti e partite ufficiali a parte, ti ritrovi a sorbirti anche degli extra, a guardare, seduto sulla panchina come un pensionato, dei ragazzetti di tutte le età e di tutti i colori del mondo che corrono dietro a un pallone. Non manca poi l’osservatore improvvisato, l’uomo che guarda nel parco, il classico tipo che con fare quasi professionale chiede chi è il figlio di chi per esprimere dei suoi giudizi ed elargire consigli. “Quello con la felpa blu è suo figlio? È molto bravo. Gioca in qualche squadra? Se non ci gioca dovrebbe farlo. Io conosco una persona del settore che potrebbe dargli un’occhiata e segnalarlo a chi di dovere. Le interessa?”. Una storia che ho imparato a sentire tante volte e che comunque conferma che effettivamente il bambino si fa notare, ma almeno nel parco vorrei essere lasciato in pace. Non è un campione, forse lo diventerà, chissà. È solo un bambino che magari tra qualche anno vorrà fare boxe o danza classica o nuoto. Nessuno può saperlo. Alla tua mente, da tossico passivo del pallone, però, scatta in automatico un solo pensiero: “Speriamo che alla fine qualche vero osservatore lo trovi interessante sul campo”. (continua)

martedì 29 gennaio 2013

Prima la scuola e poi il pallone

Ciao, mi chiamo Greg e sono il padre di un bambino che gioca a calcio. Sto provando a disintossicarmi ma è un’impresa difficile. Quella cosa sferica che chiamano pallone mi segue ovunque come la luna nel cielo quando sono in macchina. Luca lo porta sempre dietro. Ogni momento, ogni posto è buono per tirare due calci, provare una finta, dribblare avversari inesistenti. Io lascio fare anche perché il bimbo onora un patto che abbiamo fatto all’inizio di questa avventura: prima la scuola e poi tutto il resto, calcio compreso. Lui lo rispetta. I risultati scolastici sono più che positivi. Generalmente chi gioca a pallone è considerato quasi un ritardato mentale e, in effetti, sentendo le dichiarazioni di certi giocatori professionisti, viene la pelle d’oca. Non tutti per fortuna sono così. Almeno, lo spero. Ci sono tanti giocatori che non rinunciano agli studi e arrivano a laurearsi: solo per fare un esempio si pensi al difensore della nazionale e della Juventus Giorgio Chiellini che nel 2010 ha conseguito a Torino la laurea in Economia e Commercio con un voto finale di 109/110. È quindi possibile coniugare studio e pallone. (continua)

domenica 27 gennaio 2013

L’unica cosa che conta

L’esperienza è fondamentale per sopravvivere nel mondo del calcio giovanile. Ho imparato molte cose strada facendo, campo dopo campo, partita dopo partita. Ho iniziato a raccogliere informazioni, a documentarmi per capirne di più. Visto che sono completamente assorbito da questa cosa meglio non farsi più cogliere impreparati. Non è vero quello che ti dicono. Non è vero che la cosa più importante è fare divertire i bambini. Ho scoperto subito che l’unica cosa che conta è vincere ma anche fare business spesso lucrando sui sogni di aspiranti calciatori professionisti e delle loro famiglie. Ho capito subito che, indipendentemente dai progressi di Luca, dovrò sempre guardarmi attorno. Tornando ai costi ho scoperto che ci sono società più serie e selettive, dove almeno sono chiari sin dall’inizio: chiedono una cifra complessiva di circa 500 euro per un anno (che per fortuna si possono pagare anche in due o più rate) e ti dicono subito se è meglio orientare il bambino verso un altro sport o comunque verso società di calcio meno competitive. Tutto questo fa parte del pacchetto. Riuscirò a superare questa dipendenza. Sono un papà nel pallone. Continuerò a raccontarvi questa storia alla prossima seduta.

giovedì 24 gennaio 2013

Il magazziniere ti chiama sempre tre volte


La Soccer Kids lascia trascorrere un mese, il tempo necessario per fare entrare i bambini e i genitori nel tunnel della dipendenza. Poi anche a me si presenta il responsabile del magazzino con dei fogli in mano per spiegarmi che non è obbligatorio, ma devo comprare a Luca un kit della società per la stagione. Il kit in genere comprende giubbotto, k-way, calzettoni, pantaloncini, magliette, borsone e altro. Costo? Altre 150 euro. E così ho già speso 300 euro. Non è finita. Periodicamente dal magazziniere arrivano altre richieste non obbligatorie ma che si devono soddisfare per uniformare la squadra: il cappello estivo e quello invernale, la sciarpa, la borraccia, la felpa... E alla fine mi volano via altri 60 euro. Senza contare la benzina che consumo ogni settimana per portare Luca agli allenamenti e soprattutto alle partite macinando centinaia di chilometri al mese. Le società dilettantistiche non hanno pullman e i genitori devono organizzarsi con i propri mezzi. Non basta. Molte società, soprattutto in occasione dei tornei, mi chiedono anche un contributo, in altre parole devo pagare un biglietto di ingresso (variabile dai 2 ai 4 euro) per vedere giocare mio figlio. Quando resto fuori quasi tutto il giorno, per una o più partite, devo anche mangiare, quindi o mi organizzo portandomi dietro dei panini o spendo nel bar della società che ha organizzato il torneo acquistando quello che trovo (vanno per la maggiore salamelle, wurstel e patatine fritte) o con altri genitori cerco nella zona una pizzeria. Avete capito bene? Stress, spese continue e tanto tempo perso dietro all’aspirante calciatore. Perché lo sto facendo? Non ho idea. Forse sono stato molto cattivo in un’altra vita e adesso in questa nuova sto pagando il prezzo? Poi vedo il bambino correre felice dietro a un pallone con i suoi compagni di squadra, orgoglioso di indossare il suo completo e di segnare tanti goal. Allora sorrido e tiro avanti con la consapevolezza che smettere sarà una cosa molta difficile per entrambi.

martedì 22 gennaio 2013

Terza seduta - I costi di un baby calciatore


Ciao, mi chiamo Greg e sono il padre di un bambino che gioca a calcio. Sto provando con voi del gruppo di terapia a superare questa dipendenza. Si dice che “i figli so pezzi e core” ma aggiungerei che sono anche un pezzo consistente di portafoglio. Se vostro figlio si mette in testa di fare calcio dovete sapere che tutto questo ha anche un costo, spesso non indifferente. Le prime spese riguardano l’iscrizione, l’assicurazione infortuni extra, il certificato medico e tanto altro ancora. Ogni società ha una sua politica. Alla Soccer Kids, per esempio, l’iscrizione al primo anno dei “Piccoli Amici” è molto bassa rispetto alla media, circa 150 euro ma è un bluff come vi racconterò tra poco. Agli allenamenti, senza badare troppo alle forme, i bambini possono indossare qualsiasi completo di calcio. E così scendono in campo con i colori delle principali squadre italiane di Serie A, in testa Milan, Juventus e Inter. Non manca poi chi indossa la maglia di Lionel Messi del Barcellona. Non si capisce niente. Meno male che a un certo punto durante l’allenamento, la squadra viene divisa in due gruppi da cinque: uno mette le pettorine gialle, l’altro le rosse. In questo modo si ha un minimo di ordine. In occasione delle partite invece la società fornisce a ogni piccolo giocatore pantaloncini e maglietta con i colori e il logo della società, che di solito vestono abbandonante e sono consumati perché indossati da un esercito di bambini nel corso degli anni. (Continua)

sabato 19 gennaio 2013

L'invasione di stanza


Torniamo allo spogliatoio. Il momento più critico si ha alla fine dell'allenamento. Il mister si ferma all'ingresso e dice ai genitori: “Entrate pure, se volete aiutare i vostri bambini". La prima reazione è l'indifferenza. Nessuno si muove. Qualcuno commenta con tono serioso: "Devono imparare a vestirsi da soli, altrimenti non cresceranno mai". Passano dei minuti, poi ci sono puntualmente dei papà o delle mamme che iniziano a essere tormentati da dubbi del tipo: "Riuscirà a fare la doccia e a trovare i vestiti nel borsone? Dimenticherà qualcosa? E se dovesse scivolare e farsi male? E se dalla tazza del cesso dovesse spuntare il mostro delle fogne e portarmelo via?". 
Non resistono e fanno un micro passo verso lo spogliatoio e si fermano. Hanno un po’ di vergogna. La loro fronte si copre di gocce di sudore di origine nervosa. Segue un nuovo micro passo, poi uno più ampio. E tutti si ritrovano a correre verso lo spogliatoio come in una gara dei 100 metri. Tutto questo è mostruoso. Immaginate solo per un istante uno sgabuzzino di pochi metri quadrati, in cui sono stipati dieci bambini e nella migliore delle ipotesi almeno una ventina di adulti. In questo caos si rischia veramente di perdere il proprio figlio ma anche il controllo, di scambiare per sbaglio scarpe e vestiti, di non capire più niente. A un certo punto inizi anche pregare la Madonna e i Santi del Paradiso perché tutto finisca il più presto possibile. Ci sono poi bambini che sono seguiti a zona dalla madre, dalla nonna e perfino dalla sorella più grande che con una certa curiosità e innocenza osserva ogni pistolino dei dieci componenti della squadra. A parte la divagazione sugli ammennicoli, dovete capire che questa situazione stressante si vive almeno due volte a settimana per dieci mesi. Per fortuna in occasione delle partite molte società vietano categoricamente l'ingresso ai genitori. Se ne fregano se i bambini sono piccoli. Nello spogliatoio entrano solo allenatore, vice e dirigenti accompagnatori. Stop. Adesso mi sento meglio. Mi sono sfogato. Grazie per avermi ascoltato. Vi racconterò altre storie alla prossima seduta.

giovedì 17 gennaio 2013

La bolgia nello spogliatoio


Voi non avete idea che cosa possa succedere in uno spogliatoio. Non faccio riferimento agli schiamazzi dei bambini. La Soccer Kids solo per il primo anno dei "Piccoli Amici" permette di fare una cosa che non andrebbe fatta, ossia lasciare libero accesso allo spogliatoio ai genitori. Lo scopo? I più piccolini possono essere aiutati a lavarsi e a vestirsi dai genitori, che ovviamente non si tirano indietro. Il risultato è sconcertante, a tratti drammatico. Se da un lato i bambini non si responsabilizzano, dall'altro si verificano scene di isterismo collettivo che ricordano tanto i vecchi film di Fantozzi. Intanto, vi descrivo la location. Lo spogliatoio è praticamente uno sgabuzzino, due panche, un lavandino, un tabellone e poi due porte. Una è quella dei servizi igienici rigorosamente alla turca e l'altra quella del loculo con tre docce che funzionano a senso alternato. L'acqua calda lo trasforma in un centro sauna pieno di vapore. Non si vede più una mazza a 15 centimetri di distanza dal proprio naso. La squadra è composta di dieci bambini seguiti da un allenatore e il suo vice, nonché da due dirigenti accompagnatori che nel segno del risparmio vengono scelti tra i genitori. Non è una cosa ottimale per tante ragioni, infatti, le società più attrezzate lo evitano. È meglio non fare il dirigente accompagnatore nella squadra dove gioca il figlio. Responsabilità, invidie e rischio di fare delle differenze. (continua)

martedì 15 gennaio 2013

Uno sport democratico

Amici, devo ammettere che in questi anni ci sono state anche delle cose belle. Seguire un figlio che fa calcio, è molto impegnativo. Ogni settimana devi mettere in conto gli allenamenti e le partite (che spesso si giocano in trasferta in posti sconosciuti e dispersi nella nebbia che neanche il TomTom riesce a trovare). Per non parlare del periodo dei tornei che generalmente scatta dopo la primavera. In pratica come genitore sei sottoposto a un'overdose di partite, che coinvolgono per intere giornate decine e decine di squadre. I tornei mettono a dura prova la resistenza fisica e mentale, roba che se la superi poi anche Rambo ti sembrerà un pivello. Perdi ore, giorni, settimane della tua vita accanto ad altri tossici come te. Chi sono? I genitori dei compagni di squadra di tuo figlio. Ma se ve la devo raccontare tutta, il calcio è la cosa più democratica che abbia conosciuto. Lo sport più amato dagli italiani mette insieme le più disparate classi sociali. Nella squadra, per esempio, ci sono il figlio del muratore, dell'avvocato rampante, del tipo tatuato in libertà condizionata, dell'impiegato di banca, della donna di facili costumi (ma bisogna fare finta di non notarlo), del politico, del bottegaio, del manager, del disoccupato, dell'immigrato incapace di pronunciare una sola parola in italiano. Insomma, persone che in condizioni normali probabilmente non prenderebbero insieme neanche un caffè o che difficilmente frequenterebbero gli stessi ambienti. Invece, la magia del pallone e l'amore per i figli uniscono l'impossibile, impongono a questi poveri tossici una convivenza forzata che dura il tempo di una stagione, da settembre a giugno. Sempre vicini come burro e marmellata, nella buona e nella cattiva sorte. A esultare all'unisono a ogni goal abbracciandosi con tanto entusiasmo come al programma "Carramba! Che sorpresa". (continua)

domenica 13 gennaio 2013

Seconda seduta - Ho visto cose


Ciao, mi chiamo Greg e sono il padre di un bambino che gioca a calcio. Non ho ancora idea se questa terapia di gruppo potrà funzionare ma ho tanto bisogno di parlare con qualcuno. Questa storia del calcio mi ha cambiato la vita. Quando Luca a sei anni è passato alla categoria "Piccoli Amici" nella società Soccer Kids ho visto e sentito cose che voi umani non potete immaginare: madri ululanti scatenare le risse negli spalti; un dirigente sportivo picchiare a sangue l'arbitro nel bel mezzo di una partita; genitori arrampicati come scimmie alla rete di protezione del campo; un padre indemoniato bestemmiare in tutte le lingue del mondo; allenatori rimproverare e umiliare i piccoli giocatori; l'euforia della vittoria per tutti i goal segnati da nani con le scarpette; l'abbattimento che segue alla sconfitta. E tutti questi momenti andranno persi come lacrime nella pioggia. È tempo di curarsi. (continua)

venerdì 11 gennaio 2013

Parte 4 - Come tutto ha avuto inizio

Arriva l'estate e il saggio di fine anno. Le tribune del campo sportivo sono stracolme di genitori, nonni e parenti fino alla settima generazione. Urlano e fischiano. Sono tecnologicamente attrezzati con telecamere, macchine fotografiche dotate di zoom ultra professionali. I bimbi entrano in campo. Luca batte la palla, pochi minuti e inizia a dribblare gli avversari, si avvicina alla porta, tira e infila un goal all'incrocio dei pali. Lo spettacolo continua e ne segna altri sei di fila, sembra un giocatore di serie A che gioca contro la squadra dell'asilo. Non ho più dubbi. Dopo qualche giorno lo iscrivo in una società calcistica nella categoria "Piccoli Amici". È in questo modo che è iniziata la dipendenza, in modo passivo come il fumo della sigaretta altrui. Anno dopo anno ho provato mille emozioni, positive e negative. Mi fermo qui. Sono stanco e confuso, sono un papà nel pallone. Continuerò a raccontarvi questa storia alla prossima seduta.

mercoledì 9 gennaio 2013

Parte 3 - La rivelazione


Adesso ascoltatemi bene. Al secondo anno la situazione è peggiorata. Sto seduto tranquillo ad aspettarlo nello spogliatoio. A un certo punto entra l'allenatore e chiede a voce alta: "Chi è il padre di Luca?". Salto in aria e subito rispondo alzando la mano come a scuola: "Sono io, è successo qualcosa al bambino?”. Nello spogliatoio scende il silenzio, tutti gli altri genitori hanno gli occhi puntati su di me.  Premessa: di solito durante l'attesa leggo un giornale, loro invece esaltano le doti calcistiche dei bambini come se fossero campioni del mondo in provetta. Torniamo all'allenatore. Mi poggia una mano sulla spalla e dice a voce alta: "Suo figlio è sprecato per il minicalcetto. È molto dotato. Ha talento, lo iscriva subito a una società calcistica anche se è ancora piccolo. Non perda tempo, mi creda". Rimango zitto anche se in mente mi ripeto: "Ma come? Ma quando? Ma che cazzo!". Mi riprendo e rispondo: "Bene, grazie. Valuterò cosa fare". Sono uscito dallo spogliatoio rosso in faccia e anche un po' sudato perché gli altri genitori hanno iniziato a guardarmi come se avessi compiuto atti osceni in luogo pubblico. Invece, di essere contento sono stato assalito da mille pensieri.  (continua)

lunedì 7 gennaio 2013

Parte 2 - I primi calci


Ho preso informazioni e ho trovato una struttura sportiva a pochi passi da casa: una banalissima lezione di minicalcetto di due ore a settimana con saggio di fine anno. Il bimbo, che si chiama Luca ed è geneticamente juventino in un ambiente pieno di interisti e milanisti, ha così iniziato a tirare i primi calci al pallone. Ingresso assolutamente vietato ai genitori durante l’allenamento, una cosa stupenda col senno del poi. Consegnato e ritirato poco più tardi come un pacco. Stop. Tutto perfetto! Luca inizia, come prassi, facendo per qualche mese il portiere ma poi si sposta preferendo il ruolo di attaccante. Al primo saggio ho visto un piccolo atleta all'opera. (continua)

domenica 6 gennaio 2013

Prima seduta - Mi chiamo Greg


Ciao, mi chiamo Greg e sono il padre di un bambino che gioca a calcio. Scusate, ma sono emozionato. Non sono abituato a parlare in pubblico. Ho sempre preferito la lettura, il cinema o il teatro a una partita di pallone. Mi sono sempre limitato a seguire le partite della nazionale con i colleghi di lavoro, più per stare in compagnia che per passione. E anche se da bambino sono stato un temuto terzino, non ho preso il vizio. Devo ammettere che dalla scuola elementare fino all’Università ho seguito la Juventus, la squadra del cuore di parenti e amici. Una questione di tradizione. Poi ho smesso. In questi anni mi sono tenuto in forma praticando sport come, canoa, arti marziali, nuoto e corsa. I tossici del pallone hanno iniziato a prendermi in giro chiedendomi: “Perché non segui il calcio? Sei malato? Hai qualche problema mentale?”. Non ho mai ceduto. Il pallone, però, è rimasto in agguato, pronto a cogliere la minima debolezza e alla fine mi ha raggiunto in maniera subdola sfruttando un bimbo, mio figlio. Una mattina durante la colazione mi guarda con aria seria e dice: “Papà voglio giocare a calcio”. Io: “Sei sicuro? Ci sono altri sport interessanti”. Lui: “No! Voglio giocare a calcio. Punto e basta”. (continua)